Filosofie calcistiche

Esistono due tipologie di allenatori (e di filosofie di gioco), non una sola

Affermare, come negli ultimi tempi fanno sempre più persone, che nel Calcio esisterebbe solo un tipo di gioco, quello che ha come referente Guardiola, mentre la sua controparte rappresenterebbe un “non gioco”, sarebbe come sentenziare che, dei due tipi psicologici messi in evidenza da Gustav Jung, solo uno fosse tale, mentre l’altro rappresentasse una sorta di “non essere umano”. Ed invece, se è vero come è vero che sia il tipo introverso che quello estroverso sono figure umane, è altrettanto vero che sia il gioco spagnoleggiante dei “guardiolani” sia quello italianista degli “allegriani”, hanno un uguale diritto di essere definiti “tipi di gioco”. Quale sia poi la corrispondenza (che certamente esiste) tra i due “tipi” di allenatori e i relativi “tipi” psicologici descritti da Jung resta da stabilire, sebbene tendenzialmente si possa pensare che gli allenatori “idealisti” alla Guardiola siano introversi mentre quelli “pragmatici” alla Allegri siano estroversi.

Comunque stiano psicologicamente le cose, bisogna mettersi in testa una volta e per tutte che i due modi di approcciare le partite di calcio, e le le relative varianti, hanno uguale dignità nel mondo del calcio, al netto dei gusti personali che possono portare ad amare l’uno piuttosto che l’altro. Entrambi questi tipi di strategie calcistiche rappresentano dunque un “gioco”, un modo cioè (perché tale è un “gioco”) per avere la meglio sugli avversari. È assurdo partire dall’idea che solo il cosiddetto “gioco corto e totale” rappresenti appunto un “gioco”, assurdità figlia dell’equazione gioco d’attacco = gioco. Se, sempre per assurdo, esistesse davvero una sola “tipologia di gioco”, non vedo come si potrebbe parlare di scontro tattico o strategico, dal momento che il tutto si ridurrebbe ad uno specchiarsi di dinamiche perfettamente uguali. In realtà, in quel caso non si potrebbe neanche parlare di gioco, essendo un gioco per definizione un incrociarsi di scelte diverse con il relativo insieme di variabili, che danno vita ad una infinità di combinazioni. Proprio in questa insensatezza rientra quella metafora usata da Arrigo Sacchi per descrivere quello che, a suo dire, sarebbe il vero modo di giocare a calcio; mi riferisco alla metafora dell’orchestra. Secondo Sacchi, infatti, una squadra dovrebbe comportarsi in campo alla stregua di una orchestra nel suo eseguire una sinfonia, ovvero in modo sempre armonioso e con i singoli interpreti che si muovono all’unisono secondo uno spartito predeterminato. Trovo questa metafora del tutto inappropriata, per la semplice circostanza che una orchestra sinfonica esegue unilateralmente uno spartito senza dover nel contempo misurarsi con un’orchestra concorrente. Una orchestra sinfonica, insomma, è chiusa in se stessa, può e deve limitarsi a concentrare i propri sforzi su ciò che deve fare secondo i dettami del suo direttore, senza preoccuparsi su come un’altra orchestra esegua lo stesso pezzo sotto la direzione di un altro maestro. Semmai, se proprio si vuole trovare una metafora per il calcio, si può pensare alla guerra tra due eserciti, dove ciascuno può e deve operare non limitandosi alle proprie caratteristiche ma adattandosi a quelle dell’avversario, del terreno e della metereologia, oltre al fatto di dover tenere conto delle varianti che lo scontro stesso via via presenta; proprio come in un gioco di carte. Ho preferito tuttavia usare la metafora bellica, sebbene poco piacevole, perché il calcio, in quanto sport di contatto, si presta, per la sua alta fisicità e lo scontro tra gli atleti, a quella similitudine.

Tutto questo che ho appena finito di scrivere si adatta perfettamente alla tanto discussa questione di come Garcia faccia giocare o “non giocare” il Napoli, che vede impropriamente l’allenatore francese accusato di non riproporre, lui che appartiene al tipo opposto di allenatore, il gioco fatto vedere da Spalletti. Per ritornare alla duale natura umana ricordata all’inizio, sarebbe come imporre ad un estroverso di essere introverso, di costringere un uomo ad essere un altro uomo. Questa assoluta scemenza, come tante altre che si sentono in quest’epoca, è frutto della non educazione alla Logica. Anche questa, insomma, è una assurdità dovuta al fatto che difettiamo in Filosofia.